Il selvaggio della Val Guichard
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- Scritto da D.Priolo e G.V.Avondo
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... viveva in una grotta in Val Guichard, il cui ingresso era protetto da un'enorme roccia, un gruppo di pastori voleva catturarlo perché gli si riconosceva conoscenze in campo caseario sconosciute.
Egli, rifugiandosi nella sua grotta, si metteva tuttavia sempre al sicuro.
Quando essi scoprirono che di notte era solito andare a spiare una ragazza che trascorreva la veglia in una stalla del villaggio, gli tesero una trappola, che però egli ancora una volta accuratamente evitò.
Una fata consigliò allora i valligiani di regalare al selvaggio un paio di scarpe incollate l'una con l'altra e di porle davanti al suo ingresso.
Costui, come le vide, provò a calzarle, ma non potendo muoversi, rimase facilmente vittima dei pastori che lo portarono in una cella, dove lo rinchiusero con tante bacinelle di latte.
L'uomo, dopo aver ostruito e tappato tutti i buchi del locale, cominciò a lavorare il latte producendo presto burro e formaggio.
Non avendo però egli chiuso il buco della serratura, i pastori poterono così osservarlo al lavoro. Scoperti i suoi segreti, decisero di portarlo a valle per riscuotere la taglia, ma egli comprese le loro intenzioni e riuscì a fuggire.
Nella versione raccolta da Marie Bonnet, il selvaggio, forse un discendente di quegli esuli perseguitati per motivi religiosi e provenienti dal Bearn alla sera scendevano fino al ripiano delle Sele ( Toponimo derivante dal basso latino «cella» che significa luogo dove si manipola il latte)
...si era innamorato di una ragazza che ogni sera egli andava a guardare attraverso la finestra mentre lei filava.
Poiché erano in molti a conoscenza di questo suo sentimento, una sera ella e alcuni suoi amici decisero di fargli uno scherzo, mettendo cioè al posto della giovane un fantoccio di paglia rivestito con gli abiti della ragazza.
Egli se ne accorse in anticipo, ma non volle infierire contro gli autori della beffa, nascosti nei pressi, e, prima di andarsene, si limitò a commentare ad alta voce « Fila, filerà, tu siè pa mai quella d'l'aouta sera ».
I giovani, stupiti dalla grande bontà e dalla saggezza del selvaggio, furono amareggiati per il loro comportamento.
Per scusarsi, gli fecero presto trovare sulle corna di una sua capra un paio di scarpe nuove, che il giovane, felicissimo del dono, provò subito.
Non si accorse però che, essendo nuove, avevano ancora i lacci legati insieme; così, quando cercò di muoversi, cadde in un dirupo, trovandovi la morte...
Attraverso questo personaggio, antesignano per certi versi dell'emarginato sociale dei giorni nostri (ruolo interpretato in queste valli anche dalla fata, dal saraceno, dall'eremita, dal perseguitato, dal bandito e dallo stregone), la tradizione ha infatti affrontato e trovato soluzioni a problemi non indifferenti, come il possesso e la trasmissione delle conoscenze, la conservazione del sapere, l'identità culturale. Nello specifico valligiano la fata e il saraceno rimasto dopo l'invasione sono gli interpreti privilegiati. Li accomuna il fatto di vivere entrambi appartati, spesso in grotte o in caverne, lontani quindi dalla società (da cui il nome di selvaggio assegnato al "forestiero" in epoca medioevale). Essi non sono comunque riluttanti a entrare in contatto con la gente del posto, giungendo pure a comunicare le loro conoscenze, come quelle sulla lavorazione del latte e del miele e sulle virtù delle erbe medicinali.
(bibliografia "leggende e tradizioni del Pinerolese"di D.Priolo e G.V.Avondo)